giovedì 7 giugno 2012

Il dissesto idrogeologico in Italia - Provvedimenti Legislativi



Il dissesto idrogeologico è la condizione che caratterizza aree dove processi naturali o antropici, del  deflusso idrico, del suolo e dei versanti, determinano condizioni di rischio sul territorio. Le alluvioni sono tra le manifestazioni più tipiche del dissesto idrogeologico, sono fenomeni che si verificano nel momento in cui le acque di un fiume non vengono contenute all’interno delle sponde ma si riversano nella zona circostante, talvolta in maniera così disastrosa da arrecare danni a edifici, insediamenti industriali, vie di comunicazione, zone agricole. 


Le alluvioni sono fenomeni naturali, tuttavia tra le cause dell’aumento della frequenza delle alluvioni ci sono senza dubbio l’elevata antropizzazione e la diffusa impermeabilizzazione del territorio, che impedendo l’infiltrazione della pioggia nel terreno fanno aumentare portata e  velocità dei flussi d’acqua che defluiscono verso i fiumi. In Italia si verificano di frequenza alluvioni anche in bacini idrografici di piccole dimensioni a causa di precipitazioni intense e localizzate difficili da prevedere, che determinano eventi di elevata pericolosità che spesso provocano vittime, danni all’ambiente e danni economici. Il dissesto idrogeologico è fondamentalmente legato a processi erosivi, che determinano una degradazione del suolo, manifestandosi con frane, smottamenti, erosioni di sponda e laterali dei fiumi, divagazioni ed alluvioni. In conseguenza della situazione di continua emergenza che colpisce la quasi totalità del territorio italiano, sono state approvate importanti disposizioni normative.


I provvedimenti legislativi 
Il Quadro Normativo italiano ed europeo, a partire dalla Legge 18-05-1989 n°183 (Norme per il riassetto organizzativo e funzionale della difesa del suolo) ha subito delle variazioni, fino a recepire le direttive Europee con il Decreto Legislativo 13 Febbraio 2010 n° 49 (Gestione Alluvioni). In effetti successivamente all’istituzione della Comunità Europea sono state emanate delle direttive alle quali tutti gli Stati membri dovranno sottostare. La legge 18 Maggio 1989 n.183 affida alle Autorità di Bacino il compito di redigere il Piano di Bacino, il quale è uno strumento conoscitivo, normativo e tecnico operativo attraverso cui vengono pianificati e programmati gli interventi, finalizzati alla conservazione,  alla difesa e alla valorizzazione del suolo e alla corretta utilizzazione delle acque, in base alle caratteristiche fisiche ed ambientali del territorio. Il Piano di Bacino è  preposto alla tutela dell'integrità fisica del territorio sotto l’aspetto geologico, idrologico, idrogeologico, idraulico, ambientale, urbanistico, agrario e paesaggistico. I piani di bacino rappresentano un primo strumento legislativo finalizzato a dare un assetto funzionale alla difesa dal dissesto idrogeologico in Italia. 

Cosa viene effettuato?
Le Autorità di Bacino devono provvedere all’individuazione e alla perimetrazione delle aree soggette a rischio idrogeologico, indicando anche i possibili interventi atti alla mitigazione di tale rischio. Successivamente all’emanazione del Decreto Legislativo 3 Aprile 2006, n° 152, i bacini idrografici sono suddivisi in unità di gestione definite "distretti idrografici", costituiti  da uno o più bacini idrografici limitrofi. La metodologia per l’individuazione e la delimitazione delle aree a rischio idrogeologico rimane quella specificata nel DPCM 29 settembre 1998. La metodologia prevede una prima fase in cui si individuano tronchi di rete idrografica per i quali dovrà essere eseguita la perimetrazione delle aree a rischio. La valutazione del rischio idrogeologico non può prescindere da una conoscenza del sito, acquisita mediante la valutazione dei fenomeni accaduti e del danno temuto in caso di calamità. Si dovranno acquisire le informazioni disponibili sugli eventi calamitosi del passato, i dati idrologici e topografici. In questo modo si potranno prevedere i punti di possibile crisi e i possibili scenari di eventi temuti siano essi colate detritiche, piene repentine, alluvioni, piene dei corsi d'acqua maggiori, piene con deposito di materiale alluvionale. L’attività di seconda fase conduce alla perimetrazione delle aree a rischio, ottenuta come risultato del calcolo idraulico semplificato, effettuata con riferimento alla stima della portata di piena e dei livelli di piena per un determinato corso d'acqua, con un assegnato periodo di ritorno. I valori delle portate di piena con un assegnato tempo di ritorno possono essere dedotti anche sulla scorta di valutazioni idrologiche speditive o di semplici elaborazioni statistiche su serie storiche di dati idrometrici. La perimetrazione delle aree a rischio si completa con la valutazione delle zone con differenti livelli di rischio, al fine di stabilire le misure più urgenti di prevenzione, mediante interventi, e/o misure di salvaguardia. 


La valutazione del rischio e della pericolosità
Il DPCM del 1998 definisce quattro classi di rischio a gravosità crescente alle quali sono attribuite le seguenti definizioni:
moderato R1:  si verificano danni sociali, economici ed ambientali marginali; 
medio R2: danni minori agli edifici, alle infrastrutture e al patrimonio ambientale che non pregiudicano l'incolumità del personale, l'agibilità degli edifici e la funzionalità delle attività economiche;
elevato R3: sono possibili problemi per l'incolumità delle persone, danni funzionali agli edifici e alle infrastrutture con conseguente inagibilità degli stessi, la interruzione di funzionalità delle attività socioeconomiche e danni rilevanti al patrimonio ambientale;
molto elevato R4: per il quale sono possibili la perdita di vite umane e lesioni gravi alle persone, danni gravi agli edifici, alle infrastrutture e al patrimonio ambientale, la distruzione di attività socioeconomiche. 

Il rischio (R) può essere definito come l’entità del danno atteso per una data area e in un certo intervallo di tempo al seguito del verificarsi di un particolare evento calamitoso. Il rischio è definito come:
R = P × E × V = P × D
Nella relazione precedente P è la pericolosità, ovvero la probabilità di accadimento dell’evento calamitoso entro un certo intervallo di tempo ed in una zona tale da influenzare l’elemento a rischio;
Il valore esposto E rappresenta  il valore della popolazione, delle proprietà e delle attività economiche, inclusi i servizi pubblici, a rischio. V è la vulnerabilità, ovvero il grado di perdita prodotto su un certo elemento o gruppo di elementi esposti a rischio risultante dal verificarsi dell’evento calamitoso temuto. Il danno D è definito come il grado previsto di perdita, di persone e/o beni, a seguito di un particolare evento calamitoso. Il danno è funzione del valore esposto e della vulnerabilità, per cui può esprimersi con il loro prodotto.
La pericolosità è funzione dell’intervallo di tempo a cui si fa riferimento e di un parametro significativo del fenomeno. Ad esempio il livello di pericolosità attribuito ai fenomeni alluvionali  è funzione del periodo di ritorno T e del tirante idrico dell’area allagata h.  La pericolosità può essere definita come:
Pi = f( T, h)
Il DPCM del 1998 definisce tre classi di valori  da assegnare al periodo di ritorno T, al crescere di esso cresce la probabilità di accadimento di eventi di maggiore entità.
Il più recente Decreto Legislativo 23 febbraio 2010, n. 49 istituisce un quadro per la valutazione e la gestione dei rischi di alluvioni volto a ridurre le conseguenze negative per la salute umana, l’ambiente, il patrimonio culturale e le attività economiche. Il Decreto legislativo 23 Febbraio 2010 è compatibile con le disposizioni del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, e le disposizioni del DPCM del 1998 per quanto concerne la valutazione delle aree a rischio idrogeologico. Il Decreto Legislativo 23 febbraio 2010 recepisce la Direttiva europea del 23 Ottobre 2007, la quale prevede che tutti gli Stati membri svolgono, per ciascun distretto idrografico una valutazione preliminare del rischio di alluvioni, questa deve essere basata su informazioni disponibili e studi sugli sviluppi a lungo termine, ponendo attenzione sulle conseguenze del cambiamento climatico. Le autorità di bacino distrettuali definite dal decreto legislativo n. 152 del 2006 devono effettuare la valutazione preliminare del rischio di alluvione, andando a raccogliere tutte le informazioni inerenti gli eventi già verificati in passato, le conseguenze di essi sul territorio e l’efficacia di opere infrastrutturali esistenti. Sono presenti distretti idrografici internazionali condivisi con altri Stati membri dell'Unione europea, in questo caso viene garantito lo scambio delle informazioni. 


Le mappe di pericolosità
Le autorità di bacino distrettuali definiscono mappe della pericolosità da alluvione e mappe del rischio di alluvioni, redatte in scale appropriate. Le mappe della pericolosità da alluvione contengono la perimetrazione delle aree geografiche che potrebbero essere interessate da alluvioni secondo scenari a differente probabilità,  evidenziando le aree in cui possono verificarsi fenomeni alluvionali con elevato volume di sedimenti trasportati e colate detritiche. Le alluvioni rare di estrema intensità con tempo di ritorno fino a 500 anni dall'evento sono denominate a bassa probabilità, eventi poco frequenti con tempo di ritorno fra 100 e 200 anni sono definiti a media probabilità, infine alluvioni frequenti con tempo di ritorno fra 20 e 50 anni sono definite a elevata probabilità. Per ciascuno scenario di inondazione deve essere indicata l’estensione dell'inondazione,  l’altezza idrica o livello, velocità e portata. Le mappe del rischio di alluvioni indicano le potenziali conseguenze negative derivanti dalle alluvioni, nell'ambito degli scenari possibili. Le mappe del rischio prevedono le 4 classi di rischio definite dal DPCM del 1998, precedentemente descritte. Le mappe di pericolosità sono redatte tenendo conto del numero indicativo degli abitanti potenzialmente interessati dall’evento calamitoso, delle infrastrutture e strutture strategiche, dei beni ambientali, storici e culturali presenti sul territorio; distribuzione e tipologia delle attività economiche; impianti che potrebbero provocare inquinamento accidentale; aree soggette ad alluvioni con elevato volume di trasporto solido e colate detritiche.

I piani di gestione del rischio alluvioni
Sulla base delle mappe di pericolosità si stabiliscono piani di gestione del rischio di alluvioni coordinati a livello di distretto idrografico o unità di gestione. I piani di gestione del rischio di alluvioni tengono conto di tutte le informazioni conseguite attraverso la redazione delle mappe do pericolosità e di rischio. I piani di gestione del rischio di alluvioni riguardano tutti gli aspetti della gestione del rischio di alluvioni, e in particolare la prevenzione, la protezione e la preparazione, comprese le previsioni di alluvioni e i sistemi di allertamento, tenendo conto delle caratteristiche del bacino idrografico interessato. I piani di gestione del rischio di alluvioni possono anche comprendere la promozione di pratiche sostenibili di utilizzo del suolo, il miglioramento di ritenzione delle acque nonché l’inondazione controllata di certe aree in caso di fenomeno alluvionale. In linea con il principio di solidarietà, i piani di gestione del rischio stabiliti in uno Stato membro non includono misure che aumentano considerevolmente il rischio di alluvioni a monte o a valle di altri paesi dello stesso bacino idrografico. Lo strumento attuativo è rappresentato dal  piano di gestione, attraverso il quale individuare gli interventi da effettuare in modo tale da limitare le condizioni di dissesto idrogeologico. Il Decreto Legislativo prevede che i piani di gestione debbano essere ultimati e pubblicati entro il 22 giugno 2015, in modo tale da avere un quadro chiaro della situazione in cui versa il territorio italiano, in linea con le direttive europee.  

Team Onjob21.com

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